Corso per personale sanitario locale organizzato a Pemba, Tanzania
Alcune immagini del corso per personale sanitario locale organizzato dalla Fondazione Ivo De Carneri e Aicu a Pemba, Tanzania, nelle settimane fra giugno e luglio 2017.
Tra i temi affrontati, l’adozione di un approccio olistico per il controllo delle patologie correlate alla povertà e alle patologie tropicali neglette. Su questo tema è intervenuta Sharifa Humud, coordinatrice del centro per la riproduzione e la salute dei bambini a Pemba. Ha parlato delle priorità cliniche per la salute delle madri e dei figli a Pemba.
Tra gli interventi, quello della prof. Rosita Gabbianelli (Unicam) che ha tenuto una lezione su nutriepigenomica e malnutrizione.
Il corso è stato concluso dall’intervento dell’ambasciatore italiano in Tanzania Roberto Mengoni che ha consegnato i diplomi ai partecipanti. Al suo fianco il direttore del Centro di Pemba, il Public Health Laboratory Ivo de Carneri.
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Silvia, medico, vincitrice del Premio Carlo Urbani, è stata in missione a Pemba (Tanzania) per quasi tre mesi, dal 17 febbraio al 4 maggio 2017
Aicu le ha chiesto un report finale.
Programma di attività svolto: Corso di ecografia Clinica, Triage Project, Hand Washing Project
Luogo/i di lavoro durante il periodo di riferimento: Gombani Clinic, PHL-IdC, Ospedale di Chake Chake
Perchè partire?
“È una scelta, come quella di non partire…”
Perché parti? Forse è la domanda più gettonata e difficile da gestire quando si confessa che si è in partenza per un posto lontano. Il rischio è quello di cadere in luoghi comuni e motivazioni preconfezionate, “dovute”. Perchè parti? E perchè no? Scegliere di non partire è una scelta quanto quella di partire. É più facile e immediata, ma pur sempre una scelta. Per restarsene lì a casa non devi fare nulla, non devi preparare la valigia, infilare le tue scarpe e correre all’aeroporto. Così, per chi almeno una volta nella vita ha pensato di varcare il confine, per chi almeno una volta si è immaginato in una terra lontana, da quel momento la scelta di partire appare chiara e vivida nella mente. Improvvisamente capisci che partire è un’opportunità, la tua opportunità, la tua scelta naturale. Quindi la domanda: “Perchè parti?” suona strana e può coglierti impreparato, e l’unica risposta è l’entusiasmo. Partire per curiosare, partire per conoscere, partire per capire. Perchè vuoi toccare con la tua mano, respirare con il tuo naso, guardare con i tuoi occhi. Si impara a guardare in modo diverso, a cambiare prospettiva. Si parte per sentirsi un po’ scomodi, per ridimensionare i problemi e dare il giusto peso alle cose, e reimparare tutto al ritorno.
Ho lasciato a malincuore questo piccolo angolo di Paradiso che ormai profumava di casa, ci ho lasciato un pezzetto di cuore, tra i verdissimi manghi e i sorrisi della gente. Mi hanno accolto, coccolato e insegnato ad amarli e rispettarli, accettandomi come una di loro. Il mio lavoro qui è una goccia in cambio di un mare di emozioni. Non posso fare altro che ringraziare coloro che hanno permesso tutto questo: l’associazione italiana Carlo Urbani, la Fondazione Ivo de Carneri, tutto lo staff del PHL e in particolare Yahya, che mi ha aiutato fin dai miei primi passi qui a Pemba, collega di lavoro e amico. Grazie di cuore ad Hasina, che si è presa cura di me come una sorella e amica fidata di questi giorni; grazie ai colleghi e ormai amici della Clinica di Gombani, grazie a tutti i compagni di viaggio e di sogni. Grazie a tutta la gente di Pemba con cui ho avuto la fortuna di vivere giorno per giorno, imparando a mangiare con una mano riso e pesce seduta per terra, ad ascoltare il richiamo del muezzin per cinque volte al giorno, a togliermi le scarpe prima di entrare in casa, a capire l’importanza del rito del saluto.
In undici settimane a Pemba ho frequentato per prima cosa il corso di ecografia clinica per Paesi in via di sviluppo, organizzato dal Dr. Agostinis, per tre settimane. Il corso era rivolto ai 5 prescrittori (general nurses e clinical officers) che si erano distinti nelle edizioni precedenti; un ottimo corso non solo di ecografia, ma anche di clinica. La scuola che prepara i Clinical Officers a Unguja è un po’ carente da questo punto di vista; lo scopo era quello di colmare qualche lacuna cercando di capire e rispondere alle loro esigenze. Il bilancio finale è stato decisamente positivo da parte di tutti, e al termine del corso gli studenti sono apparsi più completi dal punto di vista formativo. Sicuramente sarebbe importante mantenere circa ogni 6 mesi un corso di rinforzo e ulteriore approfondimento.
Nelle settimane successive ho lavorato alla Clinica di Gombani, un dispensario rivolto in particolare a mamme e bambini, con la peculiarità di fornire gratuitamente farmaci. É funzionante per tre volte a settimana, mentre gli altri due giorni vengono dedicati ad altri dispensari, al fine di favorire l’accesso alle cure anche nelle zone più disagiate (una volta a nord e una volta a sud, scegliendo luoghi sempre diversi a rotazione ogni mese). Il team è molto competente e affiatato, composto da un’infermiera, una receptionist, un farmacista, una laboratorista, due prescrittori (un clinical officer e un nurse) e dall’autista. Il lavoro è tanto, tantissimo; mediamente vengono visitati tutti i giorni 80 bambini e 80 adulti, ma si toccano punte di 130-140 bambini al giorno. Ho cercato di capire con loro cosa potesse aiutarli maggiormente nell’organizzazione del lavoro, in modo da permettergli di svolgerlo nel modo migliore possibile. Sicuramente una persona in più sarebbe fondamentale; questo permetterebbe di riorganizzare il lavoro in modo più equo e per “competenze”. È nata quindi l’idea del progetto Triage, che in termini medici non è altro che la suddivisione dei pazienti secondo priorità per gravità; una persona formata appositamente (ma bastano poche ore di training) valuta i pazienti al loro arrivo, prendendone i parametri vitali e decidendo la priorità da assegnare a quel determinato caso. Al momento hanno iniziato a farlo in modo sistematico i due prescrittori, seguendo tuttavia l’ordine di arrivo dei pazienti, piuttosto che la gravità dei loro sintomi. Durante la loro valutazione raccolgono l’anamnesi, i parametri vitali, visitano il paziente, formulano una diagnosi e prescrivono un trattamento. La speranza è quella di riuscire ad applicare il progetto in un modo completo, ma per farlo occorrerebbe una persona in più designata a questo progetto (anche per coprire eventuali malattie/assenze del personale che rendono l’attività della giornata veramente impegnativa).
Un altro punto fondamentale su cui abbiamo lavorato in questi mesi è l’importanza del lavaggio delle mani e la disinfezione degli strumenti utilizzati durante la visita. Le malattie infettive rappresentano la principale causa di mortalità e morbilità a Pemba, soprattutto nei bambini; risultano pertanto fondamentali non solo il buon uso degli antibiotici, ma anche l’educazione e la prevenzione. Il punto di partenza è sempre l’operatore sanitario, che deve evitare in ogni modo la diffusione di tali malattie.
È inoltre fondamentale che il prescrittore insista sull’aderenza al programma vaccinale (in particolare per morbillo, poichè questa vaccinazione è prevista al nono mese, un po’ distaccata dalle altre in ordine temporale).
Abbiamo anche rivisto insieme gli ordini della farmacia, cercando di selezionare i farmaci fondamentali, eliminando doppioni o farmaci poco utilizzanti, allargando la scelta ove necessario.
Il bilancio finale dell’esperienza è assolutamente positivo, un’opportunità di grande crescita per me.
Altre criticità da considerare:
– Necessità di un training pediatrico specifico (in particolare per Abdalla anche nell’ambito di un premio/borsa di studio)
– Approfondire e intervenire sul problema malnutrizione;
– Proseguire con i corsi di formazione clinici ed ecografici, aggiungendo forse una parte di approfondimento sulla corretta prescrizione dei farmaci;
– Non mi è ben chiaro se esistano medici specialisti o farmaci o strutture adatte per bambini con ritardo mentale e nello sviluppo e pazienti psichiatrici;
– Sarebbe bello uno studio sulle patologie respiratorie per poter meglio capire il quadro epidemiologico della zona e quindi migliorare la prescrizione dei farmaci in tali patologie, che sono assolutamente prevalenti
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